Citazioni

"Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinchè tu possa dirlo." - Voltaire

"[...] Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Ho davanti a me un sogno, oggi! [...]" - Martin Luther King

"Alla fine ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici" - Martin Luther King

"Non vorrei mai far parte di un club che accetti tra i suoi membri uno come me" - Groucho Marx.

"Mai attribuire alla malizia ciò che si spiega adeguatamente con l'incompetenza" - Napoleone.

"Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare" - A.C.Doyle, "Il mastino dei Maskerville"

"Qualunque cosa deve essere resa la più semplice possibile, ma non di più" - Albert Einstein

"È proprio vero alcuni uccelli non sono fatti per stare in gabbia, sono nati liberi e quando volano liberi ti si riempie il cuore di gioia." - Le ali della libertà

lunedì 25 luglio 2011

Il Barone Fourier

Riprendiamo un attimo le redini di questo ormai sempre meno attivo blog.
Nel post precedente venivano forniti un'infinità di topic che potrebbero far impallidire anche la fornitissima biblioteca di Phatt Island, ma per ora preferirei di occuparmi altro. Trovo decisamente più affascinante far conoscere alcune semplici meraviglie della matematica spiegandone l’uso e cercando di sottolineare l’uso inconsapevole che ne facciamo.

Mi sto riferendo alla trasformata di Fourier. Probabilmente si tratta di una delle formule che potrebbe essere usata come simbolo dell'evoluzione tecnologica del nostro tempo. È usata in mille campi diversi: musica, fisica, telecomunicazione, elettronica, astronomia... e spesso anche dal nostro cervello incosciamente.
Inoltre la formula è di una eleganza che ha pochi eguali, forse al di sotto solo dell’identità di Eulero 
che in un sol colpo mette in relazione 5 costanti naturali.
Queste ultime due equazioni (che poi, in realtà, è solo una) sono nate dalla brillante mente di Jean Baptiste Fourier quasi 200 anni fa.
Il Jean Baptiste, rimasto orfano a 10 anni, ebbe una vita incredibilmente avventurosa e impegnata. Dapprima poliziotto segreto durante la Rivoluzione francese, poi prigioniero politico, fu anche professore universitario, governatore d’Egitto, prefetto di Francia e amico di Napoleone… se poi pensate che nel “tempo libero” ha pure trovato il tempo di diventare un pioniere nei campi della matematica e della fisica... Il Barone Fourier (titolo dato dallo stesso Napoleone) sviluppò la sua, ora famosa, serie di Fourier mentre studiava la conduzione del calore nei materiali. Nel suo lavoro il calore era quello generato da un cannone dopo essere fatto esplodere. Dopo ogni colpo il cannone si doveva raffreddare prima di poterlo utilizzare nuovamente. Lui voleva studiare il modo più veloce per farlo raffreddare. Molte scoperte scientifiche nascono in ambiti militari (bello o brutto che sia).

Dopo questi aneddoti storici che fanno tanto folklore, torniamo ora al significato della trasformata di Fourier.
Un po’ come l’analisi chimica di un piatto ci permette di capire quali elementi base sono stati utilizzati, l’analisi di Fourier ci consente di scomporre una qualsiasi onda per calcolarne tutte le sue componenti base (frequenze).
Più precisamente la trasformata di Fourier permette di calcolare le diverse componenti (ampiezza, fase e frequenza) delle onde sinusoidali che, sommate tra loro, danno origine al segnale di partenza.

Una semplice applicazione può essere: la trasformata di Fourier di un accordo musicale ci permette di capire quali note sono state suonate. Un lettore poco furbo potrebbe dire: "cosa me ne faccio di una formula matematica per capire quali note sono state suonate? Io ho il mio orecchio che funziona benissimo e non sbaglio una nota. Riesco a suonare una qualsiasi musica avendola sentita una sola volta". Sì, questo può essere vero. Però l'applicazione è un'altra.
Essendo in grado di capire quali frequenze sono state emesse da un qualsiasi strumento, possiamo anche selezionare quali frequenze sono udibili al nostro orecchio e quali no, e in tal caso tagliarle.. “alleggerendo” il tutto.
Questo è l'idea di base della codifica MP3. Registriamo un segnale ad alta qualità (si prendono tutte le frequenze, anche quelle che non ci servono), effettuiamo la trasformata di Fourier, tagliamo le frequenze che non ci servono (quelle non udibili dal nostro orecchio) e torniamo al segnale nel tempo con l'anti-trasformata di Fourier. Ciò che è cambiato è che il file è decisamente più leggero misurato in quantità di bit necessari. Geniale!
La stessa cosa si può fare per il processing di immagini e video. Utilizzando il lavoro di Fourier è possibile “ripulire” singoli fotogrammi restituendoci un video in qualità superiore (ai nostri occhi).

Una proprietà della trasformata di Fourier è che non si trasforma nulla. Viene visto lo stesso oggetto solamente da un punto di vista diverso che in tanti casi più essere più utile per risolvere vari problemi, matematici e non.
Questa tecnica viene usata per risolvere equazioni differenziali,  serve per mandare informazione "compatta" (ad esempio si usa per distribuire l'informazione di internet sui cavi telefonici, oppure per il digitale terrestre, cellulari...!!)

venerdì 14 gennaio 2011

Come far resuscitare un blogger

Caro Julius,

da troppo tempo il blog langue sotto il peso di una vita troppo vuota o troppo piena (come tu ci insegni, dipende dai punti di vista) per essere degnamente narrata su queste pagine web.

Affetta da horror vacui e intrisa di spirito missionario, ho deciso di darti delle dritte per colmare il deficit di scrittura che affligge il tuo blog: nuova linfa alla tua vena creativa resa esangue dal logorio della vita quotidiana!

Ecco una lista di interessantissimi e utilissimi post che potresti scrivere; tutti argomenti sui quali non rischi di non aver nulla da dire. Io ci metto il titolo, a te tocca scrivere il testo.

I più utili:

- Come progettare la disposizione dei mobili in una stanza con Corel Photo Paint
- Quanti panni può reggere una sedia? Test a confronto.
- 100 consigli per mantenere sveglia la tua ragazza dopo il quindicesimo minuto del film

I più filosofici:

- L'insostenibile leggerezza dell'essere: lo porti sempre con te, eppure non riesci a comprenderne la bellezza.
- MagneticoVSFichissimo. Uno scontro tra titani.

I più intriganti:

- La polvere sotto il tappeto: un nuovo mondo mi appare all'orizzonte.
- Il gatto di Schroedinger II puntata. Apriamo il contenitore e vediamo che fine ha fatto.

I più saggistici:

- Il Fisico che alberga lassù: un Grande Fratello o un Padre Buono?
- Sull'irrefutabilità della partita di "carcetto"

Il più controverso:

- Bambini giapponesi, perché la sanno molto più lunga di tutti gli altri pargoli.

Il più oltraggioso:

- Carino sarà il tuo cagnolino!

Beh, mio caro, mi pare che per stasera possa bastare. Hai materiale per i prossimi 11 post. Non male eh? La palla passa all'attaccante, niente lisci please! E niente tiri alla "viva il parroco"!

martedì 7 settembre 2010

Giappolandia - Parte 3: Ristorazione

Sezione molto interessante questa della ristorazione. Problematica potrebbe essere infatti prendere la decisione di andare in Giappone considerando quel che si sente dire in giro della cucina giapponese: quel pesce fritto, quel pesce crudo, quei brodini...

Quel pesce fritto, quel pesce crudo, e tutte quelle altre cose, sono buonissime!!!!
La moda occidentale del sushi non è che una pallida imitazione della cucina originale giapponese. 

Ma andiamo per ordine. Parlerò prima dei piatti che ho assaggiato e poi dei "sistemi" di ristorazione giapponesi, in alcuni casi molto particolari e interessanti.


Riso: il riso è l'elemento quasi immancabile in ogni piatto. È importante, tant'è che esistono negozi che vendono solo riso. È cotto quasi sempre al vapore, risultando leggermente colloso per facilitarne la presa con le bacchette.

Sashimi: pesce crudo filettato e servito con salsa di soia e rapa. Pregiato il tonno grasso. Preparato con pesce freschissimo (quindi attorno alla zona di Tzukiji dove c'è il mercato del pesce) è divino, si scioglie in bocca letteralmente.

Sushi: sashimi assieme a delle polpettine di riso e un tocchettino (se non fugge il dito al cuoco) di Wasabi, salsetta piccantissima. Attenzione a non gustarlo direttamente (il wasabi dico), gli effetti possono essere sgradevoli. Il sushi più prelibato è l'unagi, anguilla leggermente grigliata e con la salsa di soia. Il mio piatto preferito!!!

Okonomiaki: la cosa più vicina a questo piatto è una frittata. Può essere fatta con pesce, carne e verdure, legati assieme da un uovo e cotti su una piastra rovente posto al centro del tavolo.  Letteralmente significa "cucina come preferisci". Si possono infatti trovare molti ristoranti dove viene lasciata libera scelta al cliente su come comporre la pietanza a proprio gusto, scegliendo tra una grande varietà di ingredienti come carne, frutti di mare e verdure, da intingere poi nell'ingrediente principale, costituito da una pastella di cavolo verza e altre verdure, per formare così una specie di frittata da cuocere sulla piastra. Viene condito con una salsa per okonomiyaki e può essere ricoperto con salsa di soia, maionese, ao-nori (alghe essiccate), scaglie di pesce e quant'altro suggerisca il proprio gusto personale

Soba: sono degli spaghetti marroni di grano saraceno. Si mangiano sia freddi che caldi o in forma di zuppa. Particolarmente buona (almeno secondo me) è la versione aki-soba con l'aggiunta di un po' di piccante, di pezzetti di carne e di altre spezie.

Tempura:  pesce o verdure fritte in pastella. Servito assieme alla salsetta per il tempura (non so esattamente di cosa è fatta)

Mishiru: zuppa di miso, pasta di soia fermentata. La chiamano sempre zuppa di miso, ma in realtà esistono mille versioni di questa zuppa dal sapore sempre buono e delicato anche se volte fa un po' di senso mangiare quel che c'è dentro.

Tè: Il tè viene servito in ogni momento della giornata, è il simbolo dell'ospitalità e ha quindi un significato molto importante nella cucina e nella cultura giapponese. Il tè giapponese è generalmente di colore verde poiché non subisce processi di fermentazione, è molto rinfrescante e dissetante. Ha un gusto amaro e viene bevuto anche durante i pasti, al posto dell'acqua.

Questi sono alcuni dei piatti che ho provato. Ma descriviamo un po' come funziona la ristorazione.
Si parte dal fatto che difficilmente i giapponesi ti lasciano senza mangiare. Infatti ogni 2/3 metri è presente un ristorante. Esistono palazzi interi di 8 piani di ristoranti. In qualsiasi centro commerciale c'è almeno un piano dedicato alla ristorazione. E non è che nei centri commerciali si mangi meno bene. Si mangia bene ovunque. A volte però si può mangiare anche meglio. Ma il limite inferiore è più che soddisfacente.
Particolarità dei vari ristoranti è la monotematicità: il singolo ristorante è specializzato su un tipo di pietanza e basta. Devi decidere da prima cosa vuoi mangiare. Effetto collaterale è se si va a cena in compagnia e due persone vogliono piatti diversi.
Per la scelta del mangiare basta farsi un giretto in un piano di un centro commerciale. Fuori dai singoli ristoranti c'è un tavolo imbandito di piatti (di plastica o cera) che mostrano ciò che puoi trovare all'interno. Seppur fatti di plastica a volte sembrano davvero appetitosi.


Scelto il piatto entri e verrai accolto da un fragoroso "Irasshaimase" (benvenuto/a). Ti fanno accomodare e ti servono subito té, bacchette e un asciugamanino bollente sterilizzato per lavarti le mani (secondo me in inverno quella sensazione deve essere bellissima :) )
Il resto funziona come tutti i ristoranti di questo mondo tranne che per il ringraziamento in serie di tutti i cuochi e dei camerieri quando stai per lasciare il locale: Arigato gozaemaaaaaaaas.

domenica 5 settembre 2010

Giappolandia - Parte 2: Rispetto per gli altri

Conclusa la prima parte sulla descrizione dei trasporti nella città di Tokyo, proseguiamo il nostro racconto. Continuo a trattare il comportamento delle persone in varie occasioni e non solo quando si tratta di prendere i trasporti. Riprendiamo dalla pulizia delle strade. Sempre candide e senza neanche una cicca di sigaretta in terra. Come fanno vi chiederete? Semplice: per strada non si può fumare!! Niente fumo uguale niente sigarette in giro.
Non si può fumare in nessun ambiente pubblico (stazioni, spiagge, strade...). Ma dato che in Giappone non si discrimina nessuno a priori, per strada (ma anche nelle spiagge e nei locali) c'è sempre una zona per fumatori.
È facile vedere in giro infatti degli angoli particolari di alcune strade dove i fumatori si raccolgono per fumarsi la loro sigaretta, con posacenere e cestino per le cicche finite.
Rimane comunque stranissima la pulizia delle strade considerando anche il fatto che si fa veramente fatica a trovare un cestino. Su quest'ultimo punto magari si potrebbe discutere, tuttavia è sorprendente come nonostante non ci siano, le strade rimangano linde. 

Ennesime dimostrazioni della sensibilità sulla pulizia degli ambienti pubblici e delle strade in particolare sono le pulizie delle ruote di un camion in uscita da un cantiere. Dato che è un fatto particolarmente difficile da credere, documento il fatto con una foto
Incredibile nevvero?

Già che siamo entrati un minimo in ambiente veicolare, proseguiamo la questione traffico. Se anche a Tokyo si dovesse mantenere la media di auto per persona che c'è a Roma (706 auto ogni 1000 abitanti) solo al centro ci sarebbero una cosa come 8 milioni e mezzo di auto. Una pazzia!! Non sono riuscito a trovare il numero di auto per abitante, però posso assicurare che il numero è nettamente inferiore. La maggior parte di autovetture che si vedono in giro sono taxi e autobus. La gente infatti si muove o con questi due mezzi o con l'efficientissima metro. Per scoraggiare l'uso dell'auto (...per aumentare la viabilità e la bellezza delle strade) infatti nella metropoli non si può parcheggiare ai bordi delle strade. Nossignore. Niente doppie/triple file...ma neanche singole. Non si parcheggia e basta. Se vuoi ci sono i parcheggi a pagamento dislocati in tantissimi punti della città ben serviti e facili da raggiungere. Inoltre tali parcheggi sono anche "controllati"  da almeno 3 vigili all'entrata/uscita, in modo che entrare nel parcheggio non richieda troppo tempo (e intralciando il traffico). I tre omini hanno il compito di: uno per fermare il traffico per un secondo, uno per fermare il traffico dei pedoni in una direzione, uno per farmare il traffico dei pedoni nell'altra direzione. Tempo netto per far entrare la macchina: 3 sec.
Inoltre, se vuoi possedere un'auto devi dimostrare di avere un posto personale dove poterla parcheggiare, altrimenti nessuno può vendertela. Posso capire che il sistema sia un po' macchinoso, però vuoi mettere una viabilità scorrevole, e avere un bell'occhio sulle strade?


All'interno dell'argomento del rispetto agli altri concludo con un'altra piccola particolarità tipica giapponese. Ogniqualvolta ti viene dato qualcosa, tale cosa ti viene data a due mani messe in modo da formare una specie di conchiglia e con un leggero inchino, si tratti di soldi, dello scontrino e di qualsiasi altra cosa, ringraziandoti (anche se in realtà dovevi essere tu a ringraziare) con un virgoroso: arigato gozaemas!!

Parte 1: Le stazioni

giovedì 2 settembre 2010

Giappolandia - Parte 1: Le stazioni

Eccomi qua a scrivere il post(o) per cui forse l'intero blog è fondato (bastava notare la grafica): il Giappone! Anche se io preferirei parlare di Giappolandia dato che, in particolare Tokyo, sembra un grandissimo parco giochi agli occhi del turista.
Sono di ritorno da una dieci giorni, intensissimi, di immersione nella cultura giapponese.So bene che qualsiasi parola utilizzi difficilmente riuscirà a far capire quel che si prova in questo nuovo mondo, in primis perché non sono capace di scrivere.

La domanda che tutti mi hanno fatto al ritorno del viaggio è stata ovviamente "com'è il Giappone"?
Vi posso dire che per il poco che ho visto io è impossibile dare una risposta secca. Io cerco di divincolarmi spiegando che non esiste UN Giappone, ma già solo all'interno di Tokyo si può parlare di decine di mondi nuovi (rispetto ad un italiano medio). Ogni "quartiere" di Tokyo infatti fa mondo a sé: può essere completamente diverso da un altro che sta distante una decina di minuti di metropolitana. Si passa dalla zona antica, alla zona ipermoderna, dalla zona degli uffici alla zona per i giovani (ma ggggiovani ggggiovani), etc...

Ma vediamo di andare in ordine altrimenti si rischia di fare solo conclusione. Più che delle bellezze naturalistiche del Giappone, mi soffermerò sulla bellezza della civiltà (nel senso ampio del termine) giapponese. Dato che c'è tanto da dire, scriverò il pezzo in più post nel quale vedrò di descrivere una un particolare modo di comportarsi.

Nei giorni in cui sono stato a Tokyo alloggiavo in un albergo nella zona di Shiodome (guardando la mappa della metro è in basso, leggermente sulla destra, subito sotto Shimbashi).
Mappa della metropolitana di Tokyo. Clicca per ingrandire.
Sovrapassaggio tra la stazione di Shiodome e quella di Shimbashi
Shiodome è la zona di uffici, quindi tanti palazzoni, tante luci. All'interno degli orari di ufficio raramente vedi gente in giro e ti chiedi continuamente dove siano i 12 milioni di persone di cui si parla. La risposta è semplice: sono a lavoro!! Se per caso ne vedi uno è sicuramente vestito in camicia bianca e pantaloni neri. Impressionante è vedere lo scenario di centinaia di persone vestite tutte allo stesso modo prendere la metro per andare a lavoro. Netta in questo quartiere (sempre che di quartiere si possa parlare) la predominanza del sesso maschile. La stazione di Shiodome è però un po' sfigata, ha poche linee di metro (2). Però la zona è comunque ben collegata con il resto di Tokyo dalla vicina metro di Shimbashi, ben più grande. Ogni giorno quindi si faceva il tratto per andare dall'albergo alla stazione di Shimashi attraverso un sovrapassaggio. La prima cosa che è saltata all'occhio di tutti è la pulizia. In terra non c'è nulla, neanche una macchiolina. È tutto perfetto, i vetri sono lucidati di continuo. Soprattutto in una zona attorno alla stazione, difficilmente uno si aspetta una così alta pulizia. Attorno vedi enormi palazzoni tutti riflettenti e parecchio verde sparso qua e là. 
La prima destinazione è Tokyo, o espresso in forma completa, "Tokyo Station" per iniziare il tour con i giardini dell'imperatore. Tokyo Station non è il centro di Tokyo, anche perché nessuna persona seria sbilancerebbe a dire che esiste un "centro". Nel prendere la prima metro si notano alcuni fatti. I Tokyesi sono super-organizzati. Nulla è lasciato al caso. Non c'è mai casino (giusto forse nell'ora di punta al mattino in alcune stazioni). La gente sfreccia senza toccarsi e senza perdere tempo. Ogni minuto è fondamentale. 
Una "corsia" delle scale mobili è lasciata appunto ha chi ha fretta. Per i biglietti esiste, oltre  al sistema a tutti noto, una carta prepagata che al solo passaggio (anche dentro il portafoglio) permette l'apertura delle porte che portano ai vari binari. Quando uscirai dalla stazione di arrivo, ti verranno scalati i soldi dalla carta. La carta in questione non servirà solo per la metro, ma si può utilizzare in vari contesti: metro, autobus, chioschetti, macchinette per le bevande (ONNIPRESENTI)...Ma si può pagare anche appoggiando alcuni cellulari predisposti sulla apposita macchinetta.

Novità assoluta (almeno per me) sono le indicazioni a terra sui tutti i binari (sia delle metro che dei treni). In terra è indicata la posizione in cui si fermeranno le porte della metro, il numero della carrozza e i servizi che troverai all'interno della stessa. 
Sulla destra i segni che indicano la porta del vagone.
Quindi se per caso sei disabile saprai esattamente quale carrozza è predisposta per tale occorrenza e dove si troverà ESATTAMENTE la porta per entrare, in modo da evitare che doversi fare delle corse al momento della fermata.  Prima di montare sulla metro e fare a cazzotti con le persone che devono scendere, si aspetta in perfetta fila indiana e con pazienza che TUTTI i passeggeri che devono scendere siano scesi. Ovviamente mi sembra inutile dire che non solo la stazione era pulitissima, ma anche dentro è tutto lindo. Ho visto personalmente le donnine entrare e pulire le varie carrozze durante le fermate ai capolinea.

La linea di metro più grande è la Yamamote Line. Una linea che che forma un enorme anello, che secondo le leggende, dice che possa contenere al suo interno tutta Parigi. Sarà vero? Grande è sicuramente grande. Basti pensare che da sola essa trasporta l’equivalente dell’intero sistema trasporti di New York. Brividi!!
Eviterei di andarci all'ora di punta al mattino (attorno alle 8), seppure attorno a quest'ora ci sono metro ogni due minuti. La frequenza e l’efficienza della metropolitana sono un qualcosa che le nostre città non possono far altro che sognare, in Giappone rappresentano la normale consuetudine. Se la partenza della metro è data alle 16:52...alle 16:52 meno qualche secondo è arriva alla stazione. Si scarica e si carica in pochissimo tempo (visto che nessuno deve stare a rincorrere le porte...) e alle 16:52 la metro parte. Non si sgarra. In 10 gg di permanenza con tutte le metro e i treni che abbiamo preso abbiamo avuto un ritardo massimo di 1 min una sola volta.

Il sistema è facile da usare anche a chi non capisce un'acca di giapponese, infatti tutto il sistema è a doppia lingua sia nelle scritte, sia nelle voci dei vari avvisi. Anzi, potrei dire 3 lingue dato che anche il non-vedente può facilmente prendere una metro dato che in terra è segnato il percorso con vari segni in rilievo in tutte le strade dell'intera Tokyo e tutte le scritte sono anche in brail. Un segno di civiltà di un certo rilievo.

Tutte le caratteristiche qui descritte posso essere viste nel seguente video:



Entriamo ora dentro la metro. Qua dentro si trova un nuovo mondo. In alto sopra le porte è possibile notare due schermi: uno con le indicazioni di dove ti trovi, di dove stai andando e quando impiegherai da qua alla tua stazione di arrivo. Tutto in doppia lingua. Nell'altro schermo si troverà della semplice pubblicità. Le pareti sono piene di pubblicità e di scritte che ricordano come ci si deve comportare con l'uso anche di numerosi pupazzetti. Primo: il cellulare deve essere impostato in modalità silenziosa; secondo: non si parla al telefono e se proprio sei costretto a parlare al cellulare si parla a voce bassa con la mano davanti. Non devi disturbare il prossimo che molto probabilmente sta dormendo. È infatti consuetudine appisolarsi tra la stazione di partenza e di arrivo, anche in piedi appeso con una mano alle maniglie. Ti regoli prima conoscendo la durata del tuo tragitto e comunque verrai avvisato da una dolce musica all'arrivo di ogni stazione. Ci sono anche posti riservati per donne incinta, per persone anziane, per invalidi...e attorno a questi posti il cellulare deve essere spento, nel caso ci siano persone con il pacemaker che possono interferire con le onde elettromagnetiche dei cellulari. Dato che non si può parlare con il cellulare o comunque a voce alta, la maggior parte della gente o legge un libro o gioca con il cellulare o dorme. Data la larga diffusione di lettura di libri in metro, i libri in giappone sono in gran parte venduti in versione tascabile in diverse parti. Così che puoi reggerlo facilmente con una sola mano e entra facilmente e velocemente in tasca.

Vi è bastata questa passata di civiltà? Ne volete dell'altra? Vi aspetto al prossimo capitolo della saga.

mercoledì 25 agosto 2010

Pentedattilo

Immoto su uno sperone di roccia arenaria, Pentedattilo se ne sta innanzi alle vallate riarse dal sole delle fiumare di Annà e di S.Elia. Ci si può arrivare attraversando le marine, d'omogenea e informe bruttezza, assiepate sulla parte meridionale della costa ionica. Paesi, paesucoli e cittadine che sembrano conformarsi a un unico criterio estetico e urbanistico: l'occupazione.
Lo spopolamento ha condotto il borgo fuori del tempo della storia per consegnarlo al limbo dell'erosione geologica. La stasi in cui Pentedattilo è assopito si sposa con l'estasi del visitatore, rapito dalla virulenza estetica della mano rossastra composta dalle rocce della rupe del Monte Calvario.


Il sangue versato nell'eccidio degli Alberti è alla base della fondazione mitico-leggendaria dell'abbandono del paese: nella notte di Pasqua del 16 aprile 1686 il barone di Montebello trucidò e fece trucidare il marchese Lorenzo Alberti e i suoi familiari, signori del feudo di Pentedattilo. Motivi scatenanti della mattanza furono la gelosia e il desiderio di vendetta per l'affronto rappresentato dal fidanzamento di Antonia, sorella del marchese Alberti, di cui il barone di Montebello era molto innamorato, con Don Petrillo, figlio del Primo Consigliere del Vicerè di Napoli.


Ma una storia ben più prosaica racconta invece che a partire dalla fine del Seicento la dinastia degli Alberti, proprietaria del feudo di Pentedattilo, favorì lo spostamento dei contadini verso la zona pianeggiante vicina alla costa per ampliare l'estensione dei terreni coltivati e accrescere le rendite del feudo. Alle spinte di politica economica si aggiunsero le conseguenze rovinose di una lunga serie di disastri naturali: il terremoto del 1783, poi quello del 1908, l'alluvione del 1951 sfociarono nel grande esodo degli anni cinquanta e nella dichiarazione di inabitabilità del 1968.
E mentre Pentedattilo moriva, Melito Porto Salvo, con la sua fiorente produzione di bergamotto, sorgeva.

Pentedattilo oggi «è un defunto che perturba i viventi», come scrive Vito Teti ne Il Senso dei Luoghi, poiché testimonia della caducità dei luoghi di vita.
La natura imperante in cui giace sembra infatti voler risucchiare le mura dell'antico abitato. Fermo nella sua granitica sopravvivenza, Pentedattilo si è col tempo trasformato da borgo animato dagli uomini in elemento di natura incastonato nelle pendici dell'Aspromonte. E questo passaggio involutivo è contrassegnato dal sole che a Pentedattilo picchia più forte che in altri luoghi calabri.
A fare da contraltare al dramma dell'abbandono vi è l'armonia estetica di un borgo perfettamente integrato nel suo paesaggio.

venerdì 6 agosto 2010

Come funziona una macchina fotografica digitale

Ieri notte, improvvisamente, mi è balzato in testa l'idea di spiegare il funzionamento di una macchina fotografica digitale (o almeno le basi per i meno esperti) che viene sfruttata soprattutto in questo periodo di vacanze. In realtà non so spiegarmi  neanche io come mai mi è venuta in mente questo pensiero, ma tant'è...

Una digitale funziona praticamente alla stessa maniera di una macchina fotografica analogica, con la principale differenza che risiede nel supporto di registrazione della fotografia stessa: la pellicola per l'analogica e un file in binario per la digitale.
Questa differenza influenza ovviamente la costruzione dei vari dispositivi all'interno della macchina.

Come nella macchina tradizionale, la macchina digitale registra l'immagine per mezzo dell'obiettivo che focalizza su un piano, chiamato piano focale. Il piano focale è una pellicola per la macchina fotografica tradizionale, mentre per la digitale è una griglia di piccoli ricevitori, chiamati fotorivelatori, che "contano" il numero di fotoni, le particelle che compongono la luce, che incidono sul ricevitore. Maggiore è il numero di fotoni provenienti sul particolare fotorivelatore, maggiore è la corrente elettrica generata. Tale corrente viene poi misurata  (la corrente è una delle poche quantità fisiche che sappiamo misurare con alta precisione), ottenendo quindi una serie di numeri, uno per ogni punto della griglia del piano. A questo punto noi conosciamo, in un qual modo, quanta luce è arrivata in ogni punto, permettendoci di costruire un'immagine che sarà maggiormente fedele all'"originale", quanti più fotorivelatori ci saranno nella griglia. 
Però, come i più perspicaci avranno intuito, con le informazioni in nostro possesso possiamo ricostruire solo un immagine in bianco e nero (o, per meglio dire, in "scala di grigi"). Infatti, con il sistema descritto, noi non possiamo distinguere il "colore" dei singoli fotoni che ci permetterebbero di ricostruire una completa immagine a colori.
Il problema è infatti che i fotorivelatori non sono in grado di distinguere il colori. O prendono tutti i fotoni senza distinzione di colore, o ne prendono quelli con un colore particolare (deciso in precedenza dal costruttore). In entrambi i casi non riusciamo comunque ad ottenere le informazioni necessarie per ricostruire l'immagine a colori che vogliamo. 

La prima idea per realizzare una fotografica a colori è stata proposta da Maxwell (lo stesso della teoria dell'elettromagnetismo). Lui realizzò tre fotografie in bianco e nero identiche utilizzando nei tre casi tre filtri diversi: uno rosso, uno blu e uno verde. 
Sovrapposizione delle tre foto (mescolando quindi le varie tinte) Maxwell realizzò quindi la prima foto a colori.  Evidente però la scomodità della realizzazione di una foto a colori.

Teoricamente questo processo si potrebbe fare meccanicamente: una serie di tre foto, in cui si cambia il filtro ogni volta. Praticamente "il cambiare il filtro ogni volta" è il problema principale. Non è possibile cambiare istantanemente le caratteristiche dei singoli fotorivelatori o applicarci un filtro in maniera veloce e meccanica. Che fare allora?

Come avete immaginato, il sistema utilizzato nelle moderne macchine fotografiche digitali utilizza un sistema di filtraggio simile a quello proposto da Maxwell. Esistono in realtà diversi sistemi per realizzarlo, ma il più comune utilizza un cosiddetto array di filtri a colori, uno schema di filtri (chiamato Bayer) mostrato in figura:

http://www.emmeeffe.org/mf/tecnica/raw_e_sensori/bayer_pattern.jpg

Grazie a questi filtri noi possiamo produrre immagini distinte, e incomplete, per i colori rosso, verde e blu. I più svegli avranno notato che c'è una predominanza del verde rispetto agli altri due colori; questo segue in una qualche maniera la sensibilità dell'occhio umano: i nostri occhi infatti sono più sensibili al verde rispetto altri colori.

Abbiamo quasi finito il nostro processo. Per ora abbiamo solamente 3 immagini incomplete per i 3 colori. Ma noi vogliamo un'immagine completa. Come facciamo a sapere come completare la griglia?  
Tiriamo ad indovinare!
Può sembrare uno scherzo, ma funziona più o meno così. 
Prendiamo per esempio solo la griglia verde. Vogliamo calcolare quanto verde ci sarà in un pixel non coperto dalla griglia. Per far questo utilizziamo un metodo chiamato interpolazione: sfruttiamo, cioé, le informazioni che provengono dai pixel adiacenti a quello che vogliamo calcolare. Effettuiamo quindi una sorta di media dell'intensità della luce rilavata dai pixel che ci sono nelle immediate vicinanze del particolare pixel sotto studio...et voilà, abbiamo realizzato un'immagine completa per ogni colore. 

Ovviamente il sistema di interpolazione è parecchio più complesso, ma funziona più o meno sul principio (chiamato da alcuni "demosaicizzazione") che vi ho scritto. 



 Mostriamo ora due esempi di questo processo:

   ->  
http://www.nital.it/experience/images/profili-cameraraw/big/RAW_bayer.jpg









Viè sembrato complesso tutto questo sistema? E se vi dicessi che la vista dell'essere umano funziona nella stessa identica maniera (compreso il sistema di interpolazione)?

Questo era più o meno quello che avevo intenzione di dirvi sull'argomento. Ho evitato di scendere sui dettagli, sia per non appesantire il discorso, sia per mia ignoranza sui dettagli.

Dove il sole sorge e tramonta

È passato più di un anno dall'ultimo post.
Il blog si è preso un anno sabbatico per ricostruire le proprie idee soppresse dal cosiddetto "ultimo sforzo" per la conclusione degli studi.

Nel frattempo alcuni timidi lettori hanno richiesto la rinascita del blog. In effetti di cose da dire/scrivere ce ne sarebbe parecchie. Per una più convincente rinascita è stata stretta una nuova collaborazione con  Coranali. Vorrebbe trattare di "luoghi da fermo". Io non ancora ben capito di cosa si tratta in realtà, aspettiamo il suo primo post per comprendere meglio.

Per ora le idee sono una matassa indistinguibile; appena riesco a srotolarlo,butterò giù qualcosa...

domenica 3 maggio 2009

Before Sunrise

Eravamo seduti uno di fronte all'altro.
Lei felpa verde scuro con un disegno non ben definito sopra, pantaloni jeans e scarpe da tennis.
Aveva capelli con acconciatura di qualche giorno prima, giustamente non perfetta dato l'orario e la situazione. I capelli erano di color nero, molto lucenti. Una ciocca le copriva parte del viso, che tornava sempre al suo posto dopo che lei tentava di spostarla. Anche gli occhi erano di color scuro, castano mi pare, e anche essi riflettevano ogni minimo bagliore di luce. Il colore della pelle era chiaro. Ogni tanto si passava l'unghia dell'indice della mano destra in faccia come se ci fosse qualcosa da togliere. Il punto in cui passava il dito...diventava per un attimo di color rosso, che faceva contrasto con la pelle chiara, ma poi tornava il colore naturale. Io la fissavo spesso e volentieri, lei ogni tanto ricambiava con un sorriso. Cercavo di cercarle sempre gli occhi, ma dato che cercarli sempre direttamente poteva sembrare eccessivo, cercavo il suo sguardo riflesso del vetro. Non posso avere la certezza che lei facesse altrettanto dal suo punto di vista, ma a me piace pensare così.
Ad un certo punto, ci mettiamo a dormire quasi all'unisono, o meglio a portarci in uno stato di dormiveglia per cercare di recuperare un minimo di energie non riuscite a recuperare completamente la notte prima.
Io però non riesco a prendere sonno..neanche al livello di dormiveglia e mi metto a guardarla mentre lei ha gli occhi chiusi. Penso di essermi avvicinato un poco alla visione che Dante ha avuto davanti a Beatrice. Nel sonno muoveva le labbra piano piano, come se nel suo sogno stesse dicendo qualcosa. Io mi limitavo a guardarla e a cercare di notare altri particolari in lei. Noto che ha degli orecchini, quelli piccolini piccolini. Dei puntini che sono pronti a riflettere appena ci arriva un luce diretta sopra. Ogni volta che lei apriva gli occhi, per sapere cosa succedesse attorno a lei, io le sorridevo, un sorriso appena accennato. Ma ancora, nessuna parola da parte di nessuno dei due.

Io nel frattempo cerco di capire quale sia la sua origine. Cerco quindi di vedere alcuni lineamenti. Più la guardo e più noto una somiglianza con mia cugina, a parte il colore di capelli e occhi. Quindi, giusto per la questione del lineamento, penso che lei venga da Torino, trascurando la soluzione più semplice. Ma per quanto mi riguarda potrebbe essere campana, potrebbe essere siciliana, toscana o quant'altro. Non ha mai detto una parola, quindi non ho elementi per poter potermi sbilanciare sulla regione di provenienza.
Vedo che ogni tanto guarda il cellulare, come se stesse aspettando una chiamata.
Tra me e me iniziano le domande: sta aspettando una chiamata del ragazzo? o magari solo delle amiche?
Mi dico che farmi domande del genere, tanto...non potevo avere risposta.
Ad un certo punto, inizia a muovere le labbra...sembra stia canticchiando. Riesco ad intuire dal labiale cosa canticchia, nonostante non arrivi un sibilo di voce. Sta canticchiando "Bella ciao". Alzo per un istante le sopracciglia, sorpreso.
Mentre canticchia arriva una chiamata, lei risponde. Cerco di ascoltare, non tanto per sapere cosa ha da dire, ma per cercare di scoprire la terra di provenienza. Ma nulla, parla senza alcun accento. La chiamata non dura tanto, al massimo un minuto. Non riesco ad ottenere alcuna informazione nuova su di lei.

Mi dico che forse era venuto il momento di farmi avanti, almeno per chiederle il nome e da dove venisse, giusto per togliermi almeno questi dubbi. Ma nel tempo che io impiego a prendere il "coraggio" lei tira fuori dalla borsa l'iPod e inizia ad ascoltare musica. Grrr, ora non mi sembra più il caso di romperle le scatole, con domande, mentre lei è lì che vuole ascoltare musica.

Mi trovo in una di quelle situazioni che uno aspetta magari tutta la vita; è uno dei modi più casuali, e a mio modo di vedere, romantici, per incontrare una ragazza: incontrarsi l'uno di fronte all'altro per puro caso, perchè si deve fare un viaggio assieme. Non a caso ricalca la storia di uno dei pochi film romantici che riesco a sopportare: "Before Sunrise". Ma nulla...non riesco a dire nessuna parola. Rimango per i fatti miei, faccio finta di dormire o di pensare a chissà quale teoria filosofica che doveva quindi tenermi occupato e non potevo fare neanche la domandina più stupida e banale (cosa che magari lei si aspettava anche).


Il viaggio ora è finito. Riesco almeno a rivolgerle almeno un saluto. Lei ricambia.
Non la rivedrò mai più.

sabato 2 maggio 2009

Questione di nome

Volevo giusto scrivere 2 righe sui nomi fantasiosi che ogni metà anno vengono creati per dare un nome alla propria squadra di calcio del CUS di Pisa. Dato che non c'è assolutamente alcun limite...la fantasia ha tirato fuori nomi del tipo:

Arraphao
Un tiro...un gol
TVB ma TCV (a voi l'immaginazione per capire cosa significi TCV)
AC Picchia
Paperino fornaretto
Ho sbagliato torneo
Affanclub
Zero titoli
Vaffanporcu
Pilomani
Atletico...macché
C.S. Boronbocca (ve l'ho detto che non c'erano limiti :P)
Tette biscottate (uno dei migliori a mio parere..ahah)

Infine c'è quello della mia squadra: "Teoria dei campi"...la squadra era inizialmente solo di fisici...